Anniversario dell’uccisione di Paolo Borsellino: il magistrato di spicco della guerra a Cosa Nostra

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Oggi, giovedì 19 luglio ricorre l’anniversario dell’uccisione di Paolo Borsellino, uno dei magistrati che più si è adoperato, insieme a Giovanni Falcone, nella lotta contro la mafia. La morte di tale figura,avvenuta nel 1992 in via D’Amelio a Palermo, è ancora, per certi versi, avvolta dal mistero, così come lo è la sparizione della sua famosa agenda rossa, dalla quale non si separava mai.

La terribile strage di via D’Amelio

La vita di Paolo Borsellino, come dimostrano i documenti e le varie testimonianze storiche, è sempre stata votata alla ricerca delle giustizia ed al desiderio di contrastare ed estirpare Cosa Nostra. E nemmeno l’uccisione dell’amico Giovanni Falcone, avvenuta il 23 maggio 1992 a Capaci, lo ha fermato, ma anzi gli ha dato la forza di proseguire con i propri intenti, pur avendo la consapevolezza di essere “un condannato a morte”.

Il 19 luglio 1992, infatti, mentre il giudice stava andando a far visita alla madre, che abitava in via D’Amelio, egli perse la vita insieme ai 5 agenti della scorta, a seguito dell’esplosione di una macchina piena di tritolo, parcheggiata poco distante.

I funerali furono commoventi, poiché migliaia di persone accorsero per recare omaggio a questo eroe nazionale. Tuttavia, la famiglia del defunto rifiutò le celebrazioni di Stato, ponendosi in forte polemica con il sistema politico vigente, colpevole di aver preso sottogamba il problema della mafia e di non aver difeso efficacemente il giudice.

Del resto, i parenti, negli anni, si sono adoperati strenuamente per far emergere la verità sulla strage, che sembra essere ancora avvolta da un velo di mistero. Particolare impegno è stato dimostrato dai figli, dall’amata sorella Rita e dal fratello Salvatore, che, in numerose interviste e dichiarazioni, oltre ad esprimere il proprio cordoglio, ha parlato assiduamente di “strage di Stato“.

La scomparsa dell’agenda rossa ed i depistaggi

Si è parlato molto della scomparsa della celebre “agenda rossa”, una sorta di diario di lavoro dal quale il coraggioso magistrato non si separava mai. A detta dei famigliari, infatti, tale quaderno non era riservato ai pensieri personali del defunto, ma serviva come punto di convoglio di tutti i ragionamenti legati alle operazioni antimafia in corso o che dovevano essere programmate.

Il mistero, del resto, sembra infittirsi, se si tiene conto del fatto che la valigetta, in cui doveva essere conservato il misterioso taccuino non è andata distrutta durante la deflagrazione, così come il suo contenuto, dal quale però non è emersa l’agendina.

Anche l’iter giudiziario, che si è dimostrato estremamente lungo, è stato costellato di colpi di scena e di false testimonianze, che hanno portato alla condanna anche di figure innocenti, che sono state in seguito rilasciate.

Secondo i magistrati, infatti, quello di Borsellino è stato “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“, che ha coinvolto anche diverse personalità istituzionali, tra le quali numerosi poliziotti. Oggi, quindi, si ricorda una delle pagine più infelici della storia italiana, ma allo stesso tempo anche una delle figure che più hanno onorato il Bel Paese.

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